di Gigi Cavalli
La 'voce' delle case abbandonate
Entrando in alcune case il tempo si ferma e si fa luogo da raccontare
Il fascino delle case abbandonate risiede nel fatto che riescono sempre a raccontare il loro passato a chi ha la volontà e la pazienza di mettersi in ascolto.
In questa casa è rimasto poco, ma la voce di ciò che resta riesce ancora a farsi sentire, basta guardarsi intorno e non è difficile immaginare una donna che cucina davanti al caminetto o gli uomini che producono il vino nella cantina.
Laddove non riesce la fantasia, subentra la storia ed è Norma a colmare i ricordi e a raccontare cosa rappresentasse quel podere di Tiedoli fino agli anni ’50. Suo nonno Luigi, emigrato nel Regno Unito nell’800, l’acquistò nel 1910, dopo che vendette la sua gelateria di Londra.
Entriamo in casa. Le posate sono ancora nel lavandino sotto la finestra, mentre sulla mensola del caminetto svettano una sveglia e un paio di fotografie in bianco e nero. Nella stanza accanto c’è un mobile con ancora dentro bicchieri e le zuppiere delle grandi occasioni. Poi le due camere da letto, dove sul comò mi colpisce un rotolo di lettere: “Vedi, le avevamo tenute tutte, arrivavano dall’Inghilterra”.
Ci dirigiamo verso le finestre e le apriamo. Nora mi indica i prati circostanti: “Qui intorno erano tutte vigne, c’erano filari di Monferrato, Scorza Amara e Barbera, oltre a un po’ di Trebbiano e Moscato. Poi nel ‘46 arrivò anche qui la filossera e iniziarono a seccare. Abbiamo provato con il verderame fatto in casa perché quello in polvere non si trovava, ma non c’è stato niente da fare”.
Mi dice che un quarto della vigna era destinato a Mariö (Mario Grimani) il proprietario dell’osteria con il gioco delle bocce alla Fontanella di Tiedoli, mentre tutta l’altra uva era a uso e consumo della famiglia: “Farne 70/80 damigiane era normale, ma ricordo ancora quelle annate quando da quelle botti ne uscirono un centinaio”.
La cantina è rimasta intatta, al di là dei segni del tempo: le ceste, il torchio per schiacciare l’uva, i tini, le botti, damigiane e fiaschi sono al loro posto.
I giorni della vendemmia erano giorni di festa grande. Le donne di casa cucinavano la torta di riso e si bevevano le ultime bottiglie dell’annata precedente: “Mi sembra di sentire ancora il profumo del mosto. Sai, quel vino era proprio buono, ne potevi bere quanto se ne voleva e non ti girava mai la testa”.
Immaginare oggi tutto questo è difficile, per questo è affascinante poter entrare nelle vecchie case abbandonate e prestare ascolto alle loro storie.